I vini Piwi sono prodotti da vitigni resistenti alle malattie, ottenuti tramite incroci tra vite europea e americana. Il termine “Piwi” è un acronimo tedesco che sta per “Pilzwiderstandsfähige Reben”, che significa “viti resistenti ai funghi”.
L’origine di questi vini risale agli anni 50 del secolo scorso quando alcuni ricercatori europei iniziarono a lavorare sullo sviluppo di nuove varietà di viti che fossero naturalmente resistenti alle malattie fungine, in particolare alla peronospora e all’oidio, che tanti problemi hanno creato e creano tuttora ai viticoltori.
Il processo di sviluppo di queste varietà ha coinvolto l’incrocio di viti europee con specie americane e asiatiche che presentavano naturalmente una maggiore resistenza. Attraverso successive selezioni e incroci, i ricercatori sono riusciti a creare queste nuove varietà.
La ricerca è continuata nei decenni successivi, con un’accelerazione significativa tra il 1990 e il 2010. Oggi, esistono numerose varietà Piwi coltivate in diverse regioni vinicole, soprattutto in Germania, Svizzera, Austria e Italia.
Le loro caratteristiche principali sono l’alta resistenza alle malattie fungine, il ridotto bisogno di trattamenti fitosanitari (fino al 70-80% in meno), il minore impatto ambientale della viticoltura e l’adattabilità a climi difficili e cambiamenti climatici.
I vini Piwi presentano profili organolettici diversi dai vitigni tradizionali, con aromi che possono ricordare frutti esotici o erbe aromatiche.
Tra le uve a bacca bianca possiamo citare il Solaris (vini freschi e aromatici), il Johanniter (simile al Riesling), il Bronner (vini secchi e strutturati), il SOuvignier Gris (vini corposi con note fruttate), il Muscaris (aromatico). Tra quelle a bacca rossa, il Regent (vini corposi e tannici), il Cabernet Cortis (simile al Cabernet Sauvignon), il Pinotin (ricorda il Pinot Nero), il Cabernet Carbon (vini strutturati), il Monarch (vini corposi e fruttati), il Prior (vini di buona struttura con note speziate.
La sfida principale per i vini Piwi è legata all’accettazione da parte dei consumatori tradizionali e alle restrizioni normative. Sotto quest’ultimo aspetto i problemi principali sono che in molti casi non sono permessi nelle denominazioni di origine e che in alcuni paesi sono classificati come “sperimentali” e quindi utilizzabili con dei limiti. Tuttavia la situazione sta migliorando, con una tendenza a una maggiore apertura. In Italia, per esempio, nel 2020 alcuni vitigni Piwi sono stati ammessi alla produzione di vini IGT in certe Regioni e qualcuno è stato inserito nel registro Nazionale delle Varietà di Vite, che ne permette la coltivazione ufficiale (e alcune regioni, come il Trentino-Alto Adige e il Veneto, ne hanno consentito in generale la coltivazione sperimentale).
Il loro futuro, quindi, appare promettente, soprattutto in un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità ambientale e ai cambiamenti climatici. Potrebbero diventare una valida alternativa in regioni viticole emergenti o in aree dove le malattie fungine sono problematiche. In ogni caso, il loro successo, comunque, dipenderà moltissimo dalla qualità dei vini prodotti.